Cara Oriana, ho sempre
ammirato la tua sincerità, il tuo coraggio.
Sono stata contenta di vedere di nuovo la tua
firma sul Corriere : finalmente Oriana Fallaci
torna a battagliare come è nel suo carattere,
mi sono detta. Bentornata in Italia! Leggendo
il tuo lungo e appassionato articolo però
devo dirti che l'ammirazione per il tuo coraggio
si è trasformata presto in allarme per
la tua incoscienza. Proprio nel momento in cui
tutti, dal Papa al presidente degli Stati Uniti,
cercano di distinguere fra cultura islamica
e terrorismo, proprio in questa circostanza
così delicata e grave per il futuro del
mondo, tu te la prendi con chi non è
pronto a buttarsi in una guerra di religione.
Per te chi distingue fra terrorismo e Islam
è un ipocrita, un "fottuto"
intellettuale, meschino e spocchioso. Con questo
criterio anche il Papa sarebbe un ipocrita e
che dire del presidente Bush, che altrove esalti
con tanta commozione? Subito dopo l'eccidio
Bush è andato a visitare una moschea,
l'avrai visto anche tu. Cos'è, anche
lui un politico che tu metti fra i farisei e
gli impostori?
"Abituati come siete al doppio gioco,
accecati come siete dalla miopia, non capite
e non volete capire che qui è in atto
una guerra di religione"... tu scrivi
con invidiabile piglio militaresco. "Una
guerra che non mira alla conquista del nostro
territorio ma alla conquista delle nostre
anime. Alla scomparsa della nostra libertà
e della nostra civiltà. All'annientamento
del nostro modo di vivere e di morire, del
nostro modo di pregare o non pregare, del
nostro modo di mangiare e bere e vestirci
e divertirci e informarci. Non capite o non
volete capire che se non ci si oppone, se
non ci si difende, se non si combatte, la
Jihad vincerà...".
E distruggerà il mondo che bene o male
siamo riusciti a costruire, a cambiare, a
migliorare, a rendere un po' più intelligente,
cioè meno bigotto o addirittura non
bigotto. E con quello distruggerà la
nostra cultura, la nostra arte, la nostra
scienza, la nostra morale, i nostri valori,
i nostri piaceri...".
Oriana, lo so, non ti si può chiedere
di ragionare con calma, ma santo iddio, ferma
un momento la tua furia e guardati intorno.
Proprio New York in cui hai scelto di vivere,
è la città più multietnica
che esista al mondo. Nei grattacieli, lo sai,
sono morti 400 musulmani. Schiacciati, soffocati
o bruciati vivi, per mano di alcuni criminali.
I primi a fare le spese del fanatismo religioso
sono stati proprio loro, i figli di Allah:
le tante ragazze sgozzate in Algeria per la
semplice ragione che frequentavano una scuola,
i tanti contadini che avevano la sola colpa
di coltivare la terra e pretendere di vendere
i loro prodotti in un mercato misto; le tante
donne che in Afghanistan sono state lapidate
perché scoperte a camminare con un
burqa non abbastanza lungo o non abbastanza
fitto davanti agli occhi.
Non sono stati gli islamici in generale a
fare l'eccidio, come non sono stati gli italiani
in generale a buttare la bomba alla Banca
dell'Agricoltura di Milano o alla stazione
di Bologna, ma persone con nome e cognome.
E sono queste persone che vanno scoperte e
processate e condannate, come si è
fatto dopo il nazismo con il processo di Norimberga.
La guerra non è una risposta congrua
contro il terrorismo, ma quello che servirebbe
semmai è una grande operazione di polizia
internazionale.
Certamente molti hanno risposto alle tue veementi
parole, perché con la tua passione
hai toccato un punto nevralgico, una memoria
dolorosa: la paura dell'Islam ha radici lontane.
C'è ancora un'eco in noi che suona
con voce infantile: mamma li turchi!
Quando è in ballo il destino dell'Occidente"
tu scrivi, "la sopravvivenza della nostra
civiltà va salvaguardata"! Non
ti sembra di esagerare? "Se crolla l'America
crolla l'Europa, crolla l'Occidente, crolliamo
noi. ... E al posto delle campane, ci troviamo
il muezzin, al posto delle minigonne ci ritroviamo
il chador, al posto del cognacchino il latte
di cammella". È un allarmismo
il tuo che capisco provenga da dolorose esperienze
di inviata di guerra, ma finisce per resuscitare
antichi odii e ancora più antiche paure
assolutamente fuorvianti per riconoscere e
colpire i reali colpevoli di questa strage.
Non puoi dire che in Italia "le moschee
di Milano e di Torino e di Roma traboccano
di mascalzoni che inneggiano a Usama Bin Laden,
di terroristi in attesa di fare saltare in
aria la Cupola di San Pietro", perché
non è vero. Proprio in questi giorni
a Palermo, a Napoli ci sono state delle manifestazioni
di arabi e di italiani per ricordare i morti
uccisi dal terrorismo a Manhattan. Non puoi
criminalizzare tante persone che lavorano,
pregano e portano avanti con dignità
una difficile vita di esilio. "Mi spieghi
signor cavaliere, sono così incapaci
i suoi poliziotti e carabinieri? Sono così
coglioni i suoi servizi segreti? Sono così
scemi i suoi funzionari?" insisti tu
con aria da inquisitrice. "Oppure a fare
le indagini giuste, a individuare e arrestare
chi finoggi non avete individuato e arrestato,
lei teme di subire il solito ricatto razzista-razzista?".
Ma Oriana, se proprio il Paese che tu porti
ad esempio non è stato capace di prevenire
quell'orrore, perché pensi che avrebbe
dovuto farlo il nostro? Il terrorismo è
vile, vive di finzioni, si mimetizza, finge,
inganna, si insinua, approfitta della buona
fede e della libertà, che come giustamente
dici, sono le grandi conquiste dei Paesi non
dominati da una teocrazia. A me sembra che
proprio l'enormità del progetto abbia
impedito di vederlo e prevenirlo. L'idea di
trasformare dei pacifici aerei di linea in
micidiali ordigni di morte per migliaia di
innocenti era difficile da immaginare. Gli
anarchici che uccidevano un re o un capo di
Stato sembrano, a guardarli oggi, dei bambini
intenti a giocare coi soldatini. Eppure anche
loro hanno cambiato il corso della storia.
Ma gli anarchici si rivolgevano ad una persona
precisa, che ritenevano colpevole di qualcosa
di grave (assassinii, torture, abusi di potere,
ecc.) mentre qui, in pieno periodo di pace,
con l'inganno più sfrontato e imprevedibile,
si è infierito contro degli innocenti
assolutamente ignari del pericolo che incombeva
su di loro. Uno sterminio di massa portato
a termine con tanta sfrontatezza e tanta mostruosa
gelata insensibilità è fuori
da ogni previsione
Masochisti tu dici "siamo masochisti
perché, vogliamo farlo questo discorso
sul contrasto fra le due culture?". E
qui con foga impaziente sostieni che non vuoi
nemmeno sentire parlare di due culture, perché
le si metterebbero sullo stesso piano "come
fossero due realtà parallele".
E parti come un ciclone a fare quello che
chiunque abbia una briciola di buon senso
ti direbbe non si può fare: una comparazione
fra civiltà. Non c'è bisogno
di avere studiato antropologia (un'arte squisitamente
europea, figlia di una cultura illuminista,
attenta verso l'altro, il diverso), per sapere
che ogni confronto fra culture è insensato.
In quanto la civiltà è in movimento,
non ha niente di monolitico, sfugge al concetto
di bene e di male. Ogni cultura, anche la
più apparentemente primitiva, vive
di valori, di regole, con una sua cosmogonia
e una sua rete di relazioni e di beni affettivi
che non possono essere disprezzate mai, per
nessuna ragione. Non è inferiore un
congolese perché va scalzo a pescare
i pesci con la lancia e muore di Aids a trent'anni.
Qualcuno potrebbe raccontarci che una terra
ricchissima, la sua, piena di diamanti e di
rame, è stata devastata, sequestrata
e rapinata da chi aveva soldi e fucili, lasciando
quell'uomo all'età della pietra. Ogni
essere umano fa parte di un sistema di conoscenze
e di opinioni più o meno sfortunato,
più o meno vincente, ma sempre degno
di vivere dignitosamente nel rispetto altrui.
C'è stato un periodo in cui la civiltà
africana contava più di Roma e di Atene.
Per non parlare dell'Islam, fra l'altro molto
vicino a noi. "Siamo figli dello stesso
Dio" ha detto umilmente papa Wojtyla.
Per molti secoli l'Islam ha insegnato all'Europa
come contare le stelle, come calcolare la
distanza dei pianeti, come pensare e scrivere
le operazioni matematiche.
Le civiltà salgono e scendono, hanno
momenti di prosperità e momenti di
stasi e di povertà. Ma certamente è
folle attribuire ai poveri la colpa di essere
tali. Anche perché spesso, in nome
della superiorità di razza e di un
Dio severo, proprio chi si sentiva dalla parte
del Bene e della Verità ha derubato,
confiscato, schiavizzato chi considerava "ignorante
e selvaggio".
Lasciamo stare il discorso sulle civiltà.
Dopo millenni di odii e di guerre per lo meno
dovremmo avere imparato questo: che il dolore
non ha bandiera. Che ciò a cui aspira
la maggioranza delle persone è una
convivenza pacifica fra individui di diversa
cultura e diversa fede.
Proprio le torri di Manhattan visibilmente
ci dicono una cosa sacrosanta: che la civiltà
oggi è fatta di un crogiolo di culture
diverse. In quelle torri ferite a morte convivevano
civilmente persone di quaranta nazionalità.
L'America non sarebbe quella che è
se non avesse accolto nel suo seno i neri
d'Africa, i musulmani d'oriente, i cinesi,
i giapponesi, gli irlandesi, eccetera. L'America
che tu ami non ha avuto paura di perdere la
sua identità (eppure qualcuno che non
voleva riconoscere dignità ai lavoratori
stranieri c'era anche allora, erano i Sudisti,
e per conquistare la libertà di pensiero
e di tolleranza è stata fatta una guerra
civile sanguinosissima). È la migliore
America quella che ha vinto, l'America dell'accoglienza
e della solidarietà. Io stessa in questi
giorni lo sto provando sulla mia pelle cosa
vuol dire multietnicità. Mia nipote,
figlia di mia sorella e di un conosciuto pittore
marocchino, ha sposato un irlandese americano
da cui ha avuto un bambino che in questi giorni
è stato battezzato nella chiesa di
Santa Maria del Popolo a Roma. Il bambino,
Fosco Gabriele, porta in sé il seme
di civiltà diverse: da grande parlerà
l'inglese, l'arabo, l'italiano e il francese.
Non per questo la civiltà occidentale
sarà messa in pericolo.
Il fatto è che i Paesi ricchi e potenti
possono permettersi delle libertà a
cui i Paesi poveri spesso non hanno accesso:
la libertà di parola, la libertà
di pensiero, la libertà di istruzione,
la libertà della democrazia e della
ricerca scientifica e artistica. Sapere accogliere
il diverso è una conquista, una forza,
non una debolezza. Sono le nazioni che si
sentono ai margini della storia, che hanno
difficoltà di sopravvivenza, che affrontano
il futuro con dolore e frustrazione a trovarsi
impelagate nell'odio. Così come si
odiano delle persone costrette a condividere
una casa di trenta metri quadrati, che dispongono
di una sola pagnotta per dieci bocche, che
vedono morire i figli per malattie che altrove
vengono curate e guarite. Essere ricchi e
potenti non vuol dire automaticamente essere
migliori. Ma certamente vuol dire avere più
responsabilità. E mi sembra che in
questo momento il Presidente Bush e i suoi
consiglieri stiano dimostrando molta sensatezza
nel distinguere, chiarire, prendere le distanze
dall'odio appunto e dalla vendetta. Mi è
sembrata anche ottima l'idea di andare a frugare
nei conti di questi terroristi miliardari.
È lì che si annidano le prove
dell'orribile delitto pensato a freddo e commesso
in nome di un Dio pazzo e crudele.
Tu parli degli emigrati che approdano sulle
nostre coste con sommo disprezzo quasi fossero
loro i responsabili dell'eccidio: "Più
che di una emigrazione si è trattato
di una invasione condotta all'insegna della
clandestinità. Io non dimenticherò
mai i comizi in cui l'anno scorso i clandestini
riempirono le piazze d'Italia per ottenere
i permessi di soggiorno. Quei volti distorti,
cattivi. Quei pugni alzati, minacciosi. Quelle
voci irose che mi riportavano alla Teheran
di Khomeini"... Strano, come ognuno veda
quello che vuole vedere. Non so se guardando
meglio, senza prevenzioni, avresti scorto
quello che ho scorto io e tanti altri con
me: la disperazione di chi aveva lasciato
la casa e il paese per sfuggire ad una guerra
feroce o per cercare un lavoro, anche il più
umile, purché gli permettesse di sopravvivere.
Certo in mezzo a loro sono scesi anche dei
delinquenti, tali e quali a quelli di casa
nostra. Ma guai a non distinguere i giusti
dagli ingiusti! Si fa una grave offesa alla
verità.
Non puoi non vedere che la maggioranza degli
emigrati sono povera gente che non sa dove
sbattere la testa. E scappano, come scappano
gli afghani in questi giorni, dalle loro case,
per paura delle bombe e della miseria. Non
riesco proprio a capire come tu possa dire,
con tanta baldanza: "peggio per loro"!
"Se in alcuni Paesi le donne sono così
stupide da accettare il chador, peggio per
loro. Se sono così scimunite da accettar
di non andare a scuola, non andare dal dottore,
non farsi fotografare eccetera, peggio per
loro. Se sono così minchione da sposare
uno stronzo che vuole quattro mogli, peggio
per loro"! Eppure tu sai benissimo che
quelle donne rischiano la vita solo nel mostrare
una mano nuda. Non è una scelta la
loro ma una orribile imposizione da dittatura
militare... Io sono stata in Afghanistan molto
prima dei talebani e ho conosciuto donne che
facevano l'avvocato, l'insegnante e non erano
nascoste e infagottate come fantasmi. Ma tu
non distingui: "Usama Bin Laden afferma
che l'intero pianeta Terra deve diventar musulmano,
che dobbiamo convertirci all'Islam, che con
le buone o le cattive lui ci convertirà
che a tal scopo ci massacra e continuerà
a massacrarci". Perché non chiamarlo
invece per quello che è: un atto di
terrorismo fondamentalista che come tale va
giudicato e combattuto? Se lo trasformi nella
prima mossa di una guerra santa, fai solo
il loro gioco. È una trappola, Oriana,
in cui mi sembra che tu sia caduta con tutti
e due i piedi, spinta dall'impetuosità
travolgente e il coraggio - se mi permetti
in questo caso un poco donchisciottesco -
che ti sono propri.
In quanto ai kamikaze, tu dici di non avere
pietà per loro. Ma non pensi che sia
molto più spregevole e indegno di pietà
chi li indottrina, chi li manda a morire,
chi arriva a fargli credere che il loro corpo
vale meno di una mina, meno di un fucile?
Ho sentito una donna araba dire: però
non mandano i propri figli a uccidere e morire:
mandano i figli degli altri. Ecco chi è
degno di disprezzo e di esecrazione: un gruppo
di fanatici che trasforma degli esseri umani,
dei ragazzini spesso adolescenti, in oggetti
di morte e tutto per dimostrare il loro potere,
la loro ideologia, la loro fede, il loro fanatismo.
Ma quale Dio può essere tanto sanguinario
e nemico dell'essere umano da chiedere tali
sacrifici?
Tu dici che la tua ira è esplosa quando
hai saputo che in Italia, come in Palestina
la gente ha gioito per l'attentato terroristico
alle due torri di Manhattan. Sei stata male
informata: posso garantirti che nessuno in
Italia si è rallegrato per l'orribile
scempio. Non si è vista una sola immagine
di festa o di compiacimento, né in
televisione né per strada né
altrove. Quello che si è visto è
stato solo stupore, paura, indignazione, orrore.
Tutti abbiamo fissato lo sguardo su quell'obbrobrio,
tutti abbiamo osservato impotenti, con le
lagrime agli occhi, quei corpi che si sporgevano
disperati lungo le pareti dei grattacieli,
incerti se gettarsi di sotto o affrontare
una morte per fuoco: bruciati vivi, innocenti
e giovani. Una morte di massa che ha sconvolto
le nostre immaginazioni e le nostre aspettative
per il futuro. Ti ripeto che nessuno in Italia
ha esultato. D'altronde in quelle torri c'erano
centinaia di italiani. Che sono stati ridotti
a pezzi e possiamo chiamare fortunati quelli
che sono morti subito, perché alcuni
hanno languito sotto le macerie provando disperatamente
a telefonare a casa, - come dimenticare quelle
voci che nell'orrore dello strazio mandavano
coraggiosamente messaggi di amore ai propri
cari? - ma come individuarli? come tirarli
fuori? A volte noi cerchiamo di scrollarci
di dosso il peso intollerabile delle sofferenze
altrui. E chiudiamo gli occhi. Ma quando la
morte diventa una rappresentazione in diretta,
non puoi serrare le palpebre, non puoi voltare
le spalle: sei coinvolto fino in fondo, muori
un poco anche tu. E noi siamo tutti un poco
morti, lanciandoci nel vuoto come quei poveri
infelici che abbiamo visto agitarsi per tanti
lunghissimi momenti, prima di sfracellarsi
al suolo.
"Il terrorismo è l'assassinio
dell'innocente", scrive Salman Rushdie.
Questa volta si è trattato di un assassinio
di massa. "Giustificare una simile atrocità
biasimando la politica degli Stati Uniti significa
ricusare l'idea stessa della moralità:
che gli individui siano responsabili delle
loro azioni!". Il fondamentalista terrorista
è contro la libertà di parola,
contro il voto universale, contro gli stati
democratici, contro i diritti delle donne,
contro il pluralismo... "Ma questi sono
tiranni non musulmani!". Non ti sembrano
parole sagge? Fra l'altro l'Islam ha sempre
avuto parole dure contro il suicidio, ci ricorda
sempre Rushdie, "un gesto che il suicida
è condannato a ripetere per tutta l'eternità".
Bisognerebbe fare una analisi, suggerisce
lo scrittore per capire come mai tanti fedeli
siano attirati da questa forma di disobbedienza
alle parole di Maometto. "Così
come l'Occidente deve fare i conti con i suoi
Unabomber, (con i suoi terroristi irlandesi
o baschi), l'Islam dovrebbe fare i conti con
i suoi Bin Laden", conclude Rushdie e
mi sembrano parole precise e acute. La schizofrenia,
il delirio di onnipotenza, l'uso perverso
della tecnologia, l'accumulo maniacale del
denaro, non sono indicativi né della
religione cattolica né della religione
musulmana, anche se alcuni individui affamati
di successo e di potere hanno adoperato le
due fedi per imporre le proprie ragioni di
morte e di terrore. Trattiamoli come tali,
processiamoli pubblicamente, ma evitiamo le
guerre che colpiscono sempre e soprattutto
gli innocenti.
Un caro saluto da Dacia Maraini.
5 ottobre 2001
Corriere della Sera