«Non basta il Parlamento a rifare l'Afghanistan»

Lo storico Franco Cardini: «Non dobbiamo fare degli afghani dei buoni occidentali. E per ora manca la struttura sociale»

Dopo i mesi della guerra, era quasi scomparso dalle cronache dei media occidentali. Ora le bombe e l'attentato a Karzai, riportano in prima pagina l'Afghanistan, facendo capire che poco è cambiato nonostante la tregua imposta dai militari stranieri e molto rimane da fare. In Italia è nato un Comitato di Solidarietà con l'Afghanistan, che punta a concorrere alla ricostruzione sociale, culturale ed economica, alla bonifica e al risanamento del suo territorio. Ma è davvero possibile farlo? "Oltre quello umanitario - spiega lo storico Franco Cardini, presidente del Comitato - scopo del Cisa è ripristinare una certa verità storica,senza fermarsi al solo impegno umanitario che potrebbe diventare un intervento generico. Si tratta di salvare gli afghani anche come comunità, con un'attenzione particolare all'aspetto antropologico, senza abituarli a pensare e vestire come sottoproletari occidentali: non tutti gli sviluppi sono buoni basta che siano sviluppo. La vecchia via dell'incenso che passava dall'Arabia, - esemplifica Cardini- è diventata una strada del petrolio e, altra coincidenza, questo complesso di oleodotti che dovrebbero passare per il Mar Caspio fino in Europa e attraverso l'Afghanistan verso l'Oceano Indiano, coincidono coi vecchi percorsi della via della seta. C'è un 'abbuiamento' - commenta - sulla faccenda afghana, così come su altre questioni quali ad esempio i prigionieri detenuti a Guantanamo, una disinformazione che gioca sulla memoria corta della gente".

Sappiamo troppo poco?
"Sono molte le cose che non sappiamo. L'Afghanistan è un crocevia in cui Occidente e Oriente si sono a lungo confrontati, luogo di un Islam moderato e lungimirante. Ad esempio, una zona del paese, il Kasiristan - che significa 'luogo dove stanno gli infedeli', i pagani, che secondo il Corano andrebbero o sterminati o obbligati a convertirsi - è stata cancellata e gli abitanti costretti a convertirsi all'Islam. Questo significa che l'Afghanistan è il luogo di un certo sincretismo, che per noi occidentali vuol dire tolleranza; il fondamentalismo dei talebani è stato importato dall'Arabia attraverso il Pakistan."

Cosa deve recuperare l'Afghanistan della propria cultura?
"Ho l'impressione che gli afghani si fermino davanti al muro della grande stampa, che il nascente Parlamento sia un tentativo di ricostruire un territorio caratterizzato di per sé non certo dall'unità, e che l'elemento prevalente sia il dirigismo. Anche il problema della ricostruzione del tessuto civile deve essere sposato con la struttura economica. Egemonizzare le forze locali perché non intralcino lo sfruttamento delle risorse, potrebbe finire con lo sfigurare il paese; ci sono grossi interessi dell'America e del mondo occidentale, presenti sia quando appoggiavano i talebani sia ora. L'Afghanistan è un paese che dal '73 è in stato di guerra civile, con un numero impressionante di mutilati. Prima c'era una sorta di equilibrio - ne è un esempio il consiglio tribale , forma di democrazia semidiretta - che si è affermato sul territorio".

Può servire tutto questo per il futuro del Paese?
"Bisognerebbe cessare di fare degli afghani dei buoni cittadini occidentali. Per costruire una democrazia liberale non basta organizzare dei partiti politici o un Parlamento, ma sono necessari una struttura sociale e un ceto medio che la determini. Con un'economia nomade da un lato e i signori della guerra dall'altra, è difficile. La modificazione delle strutture sociali non può che essere lenta e non imposta dall'alto. L'oleodotto porterà dei dollari che loro non sanno reinvestire, perché l'idea che i soldi servono per fare soldi appartiene alla cultura occidentale ed è una forma di potere che serve a partorire altro potere."

Ci serve sapere di più l'Afghanistan?
"Serve a due cose: primo a capire che le società del mondo sono sempre state più collegate di quanto non si creda. Questo aiuta a uscire dalla mentalità preconcetta che le cose buone le ha inventate l'Occidente e lo ha fatto pacificamente. In secondo luogo, con l'Afghanistan siamo davanti a un'area in cui dal 5°/6° secolo a.C. passano i gangli dei rapporti tra civiltà diverse, il perno su cui ruota tutta l'Asia. Vanno recuperati alla nostra cultura gli elementi euroasiatici. C'è necessità di dare soluzione al conflitto con l'Islam; andare contro questo o quell'Islam ha esiti pesanti: uno degli ultimi effetti dell'abbraccio tra americani e russi è l'abbandono della Cecenia e la derubricazione dei ceceni a briganti, trattati come tali."

Emanuela Ulivi
Corriere della Sera
06/09/2002