"Afghanistan, vite sospese"

A colloquio con un docente universitario e un mullah di Kabul, all'ombra della presenza militare Usa .
Aziz Ahmad Rahmand finalmente ha potuto radersi e rimettere il vestito che aveva comprato quando studiava in Bulgaria, dopo anni di divisa islamica imposta dai taleban. Professore, capo del dipartimento di storia contemporanea all'università di Kabul, ha resistito durante il periodo dei taleban, anche se è stata dura, e ci mostra una sua foto con la lunga barba e il turbante di rigore. Ora è orgoglioso del suo vestito marrone con cravatta in tinta, un po' demodé, ma per Kabul è un vanto. Lo incontriamo all'entrata dell'università e subito dopo ci troviamo nella sua stanza spoglia da capo del dipartimento, dove ci raggiungono altri due professori, come Aziz Ahmad Rahmand rasati di tutto punto e con capelli corti.
Finalmente possono parlare con degli stranieri. Rahmand, che parla francese - perché ha studiato al liceo francese di Kabul e poi ha continuato gli studi in Francia - dice di non aver mai ceduto alle pressioni dei taleban e per questo è stato più volte interrogato e due volte è anche finito in carcere: la prima perché aveva tagliato la barba, la seconda perché aveva criticato in aula davanti ai suoi studenti l'estremismo e il fondamentalismo e aveva giudicato il sistema educativo in vigore inadeguato rispetto alla situazione internazionale. "La jihad (guerra santa, ndr) è il primo passo verso il fondamentalismo e l'estremismo" e l'equazione per il professore è subito fatta: "Jihad più fondamentalismo più estremismo uguale terrorismo e i taleban sono stati la base del terrorismo". Ora il professore punta sulla comunità internazionale per liberarsi dal terrorismo, ma non si fa illusioni, soprattutto a partire dalla propria realtà, e non risparmia critiche alle Nazioni unite e al suo rappresentante speciale per l'Afghanistan, Lakhdar Brahimi, che non hanno imposto al governo ad interim un cambio dei quadri e non hanno preso contatto con la realtà del paese. All'Università, così come nel ministero dell'educazione tutti i taleban sono rimasti al loro posto, mentre alcuni personaggi nominati dopo la conferenza di Bonn, come il settantacinquenne vice ministro dell'educazione Sharif Faez, hanno vissuto trent'anni della loro vita negli Stati uniti, lontano dal loro paese. Lei non ha mai pensato di lasciare l'Afghanistan? chiediamo. "Ci ho pensato, ma questo è il mio paese e poi non avevo i mezzi", taglia corto il professor Rahmand. Ora la situazione sta però cambiando "ma Karzai è lontano dalla gente. E comunque per ora non si può certo parlare di democrazia se io per concedere un'intervista a un giornalista, secondo la legge sulla stampa di Karzai, dovrei prima chiedere una autorizzazione". Allora lei sta rischiando? "Non si porta avanti nessuna lotta se non si assumono dei rischi" azzarda. Poi si guarda in giro e osserva senza peli sulla lingua: "Non si può parlare di democrazia finché siamo circondati da uomini armati (quel giorno l'università era presidiata da soldati) e da agenti dei servizi segreti. E' solo l'inizio del processo democratico, ci vorrà tempo, occorrerà disarmare tutti i gruppi e formare un esercito nazionale per evitare l'intervento dei paesi vicini". E gli americani, che ne pensa della loro presenza? "Gli americani sono venuti per difendere se stessi dal terrorismo, dopo l'11 settembre".
Come molti in Afghanistan spera che se ne vadano presto ma teme che non sia proprio così: "l'Afghanistan è troppo importante strategicamente: se gli Stati uniti installano i loro missili sull'Hindukush possono controllare la Russia, le repubbliche centrasiatiche, la Cina, il Pakistan, etc..." ammette il professore. Ma questa presenza continuata potrebbe alla fine scatenare una nuova jihad come quella combattuta contro i sovietici negli anni ottanta? incalziamo. I margini per la presenza americana sono molto stretti, se escono da questo ambito la situazione potrebbe precipitare, basterebbe che un marine toccasse una donna afghana, come è successo ad Okinawa, per scatenare una reazione della popolazione. Come il professor Rahmand o i suoi colleghi Zia Nekbin e Rahmani, ci sono diversi democratici laici - comprese molte donne - in Afghanistan che si sono battuti e si battono per il cambiamento di questo paese pur senza trovare grande ascolto in questo momento in cui a prevalere sono ancora i "signori della guerra". Sul fronte opposto, quello religioso, c'è un maulavi che è diventato famoso soprattutto ai tempi dei taleban per la sua irriverenza rispetto a mullah Omar e ai suoi discepoli, che lo hanno incarcerato per ben tre volte. Ma maulavi Abdul Rawj Nafi era finito dietro le sbarre anche con i governi precedenti di Taraki, Karmal e la pena più pesante, 8 mesi e 10 giorni l'ha scontata ai tempi di Najibullah: gli avevano trovato in casa kalashnikov e missili dei mujahidin da lui sostenuti, confessa candidamente. Incontriamo il maulavi nella moschea Herat, dove si trova da 25 anni, in pieno centro a Kabul. E' un uomo vivace, polemico, barba grigia curata, che si agita mentre parla.
La sua moschea una volta era frequentata dalla classe media, ma ora anche i benestanti, dopo ventitré anni di guerra, sono diventati poveri, dice. Per il mullah le imposizioni dei taleban non erano basate sull'islam: il corano non dice che si deve portare il turbante o il burqa. Eppure è quello che si insegnava nelle madrasa (scuole coraniche) dei taleban, allora queste scuole devono essere chiuse? "Sì la maggior parte devono essere chiuse", sostiene. E i taleban sono tutti scomparsi? "No, molti dei loro sostenitori ora appoggiano l'Alleanza del nord. Ma ci sono ancora dei taleban che resistono nella zona di Tora Bora e nei dintorni, ci vorrà tempo per eliminarli. Comunque i taleban sono stati solo una creazione del Pakistan che ha sfruttato l'islam per difendere i propri interessi in Afghanistan", sentenzia il maulavi, mentre nella stanza in cui ci troviamo arrivano alcuni suoi studenti di corano, con il libro sacro avvolto in custodie ricamate. Allora, per evitare strumentalizzazioni sarebbe meglio separare la politica, il potere dalla religione... "No, perché l'islam è una religione politica, ma non quella dei taleban". Come giudica il governo Karzai? "E' accettabile". Anche sull'intervento degli americani è d'accordo, "sono venuti per aiutarci". E le vittime civili dei bombardamenti? "E' solo propaganda del Pakistan, dell'Iran e del Tagikistan che vogliono creare difficoltà al nostro governo". Ma se gli americani non se ne andranno e resteranno in Afghanistan? "E' per il nostro bene se restano". Quindi non è prevedibile una jihad contro la presenza degli Stati uniti? "La realtà è completamente diversa rispetto a quando c'erano i russi che ci occupavano e mettevano i nostri giovani in carcere. L'islam è pronto a cooperare con chi rispetta la religione e gli americani non stanno facendo nulla contro l'islam". E spera anche che l'Isaf sia venuta per ricostruire case e strade in modo da permettere il rientro di oltre 2 milioni di profughi.Il professor Aziz Ahmad Rahmand e il maulavi Abdul Rawf Nafi sono solo due delle tante e diverse facce della Kabul che sta cambiando. Con tante speranze e anche illusioni.

GIULIANA SGRENA - INVIATA A KABUL
il Manifesto 14 marzo 2002