"La sharia è sempre legge"

Bulaiat, nel centro di Kabul, una sorta di cittadella che prende il nome del quartiere racchiude la più grande stazione di polizia della capitale, una corte islamica e la prigione. Attraverso il grande cancello è un via vai continuo di uomini e donne che danno un gran da fare ai poliziotti che perquisiscono. Difficile districarsi nel mondo della giustizia afghana dove accanto alla sharia, che sopravvive nel diritto di famiglia anche se viene applicata meno drasticamente, si inseriscono le leggi del `64, quando al potere era re Zahir Shah, ma che vanno comunque aggiornate. Anche il personale in parte è sopravvissuto alla spazzata via dei taleban. I 624 prigionieri maschi e le 12 donne sono invece stati tutti rinchiusi dopo l'arrivo dell'Alleanza del nord, quando i taleban sono fuggiti tutti i prigionieri sono statiliberati. Qui ora ci sono solo i prigionieri comuni, ci dice M. Kh. Aminzade, capo della polizia di Kabul, mentre sostiene di non sapere dove si trovano quelli politici, ovvero i taleban o i militanti di al Qaeda che non sono stati consegnati agli americani.
La prigione di Bulaiat porta i segni dell'incendio che una volta i prigionieri avevano provocato per aprirsi la strada alla fuga. Dietro la prigione, una costruzione bassa dalle anguste finestre chiuse con plastica e attraversate da filo spinato, montagne di immondizia e, accatastati, numerosi container che qui spesso sostituiscono le carceri, soprattutto per i prigionieri politici, rendendo la vita ancora più infernale per le escursioni termiche. Di fianco alla prigione maschile, separata dal fossato delle fogne, un'altra costruzione, cui si accede chiamando la guardiana attraverso un buco aperto nella porta. Qui sono ospitate 12 prigioniere, ma con loro ci sono anche alcuni bambini, sono i figli che non hanno potuto lasciare a casa e che qui crescono con l'unico svago di giocare in un cortile dove vanno anche le donne a prendere l'acqua dalla pompa. Riusciamo a comunicare solo a gesti con le donne ammassate in due stanze, l'interprete maschio non può entrare. Alcune sono state condannate per omicidio altre solo perché sono fuggite di casa.
Ad occuparsi del diritto di famiglia è la corte islamica che si trova al centro del cortile dove la sharia è ancora in vigore. Ogni giorno le stanze sono affollate, uomini e donne, la maggior parte dei ricorsi alla corte riguardano casi di violenza o richieste di divorzio, ma se l'uomo può facilmente ottenerlo per la donna è quasi impossibile, a meno la possibilità sia esplicitata nel contratto di matrimonio dove devono essere indicate anche le inadempienze che possono portare allo scioglimento, come ci preciserà il ministro della giustizia, Abdul Rahim Karimi. Naturalmente, anche qui, esiste la scappatoia della corruzione dei giudici. Comunque sostiene Mohammad Usman, capo della corte islamica - nominato dall'Alleanza del nord, insieme ad un altro giudice mentre gli altri 26 (tutti uomini) sono qui dai tempi dei taleban - l'obiettivo è quello di evitare i divorzi. Cos'è cambiato qui rispetto ai tempi dei taleban? chiediamo a un anziano giudice. "Nulla, solo che l'emirato islamico ora si chiama stato islamico", risponde sibillino Gulam Sakhi, che prima d'essere trasferito alla corte islamica, un anno fa (quindi dai taleban), era un procuratore.
Separato da un muro e da un lago di fango si trova la costruzione che ospita la principale sede della polizia criminale di Kabul. Qui l'affollamento rende ancora più arduo salire o scendere i piani, all'ultimo c'è anche l'ufficio di collegamento con l'Isaf (l'International security assurance force). Il piano più affollato è quello del sotterraneo dove gli uffici con quattro o cinque scrivanie ciascuno vengono prese d'assalto dai vari frequentatori in cerca di giustizia. Qui dovrebbero svolgersi le indagini, ma quel che colpisce è che, a parte qualche rara eccezione, non si vedono fascicoli. Solo poliziotti (e qualche poliziotta) in borghese che scrivono o firmano foglietti che passano di mano in mano. Non ci sono avvocati, solo dopo la fase istruttoria, quando il caso passa all'alta corte chi può si fa assistere da un avvocato, ci spiegano. In fondo al corridoio del sotterraneo, al buio, dietro sbarre di ferro, vengono rinchiusi gli ultimi arrestati. Quando siamo arrivati ce n'era solo uno, un ragazzo di 23 anni accusato di omicidio che si proclama innocente, ma quando andiamo via ce ne sono già cinque ammassati nell'infimo spazio. In caso di omicidio, anche con il nuovo governo, spetta alla famiglia della vittima decidere la vendetta e solo se rinuncia a farsi giustizia da sé la parola passa all'alta corte. E la pena per un omicidio può arrivare a 15/20 anni, ci conferma Mafizullah Bakhshi, capo della polizia investigativa criminale di Kabul, il quale aggiunge che lapidazioni e amputazioni in vigore ai tempi dei taleban sono state invece abolite. Laureato all'Accademia di polizia a Kabul 23 anni fa, ai tempi di Daud, ha passato gli ultimi anni nel Panjshir a combattere a fianco del comandante Massud, ricorda con orgoglio. Una giustizia-groviglio, tra eliminazioni e sovrapposizioni di leggi, personale e tradizioni.
Come tutti i settori della giustizia, anche il ministro ad interim, Abdul Rahim Karimi, appartiene all'Alleanza del nord - adesso, perché ai tempi dell'arrivo dei mujaheddin rappresentava l'integralista filo-iraniano Hekmatyar, poi si è legato al generale tagiko Dostum. E' indaffaratissimo tra riunioni con l'inviato dell'Onu Lakhdar Brahimi e un'adunata convocata dal ministro degli interni Yunis Qanuni. A lui chiediamo di chiarirci quale legge è attualmente in vigore in Afghanistan. "La legge del 1964, quella dei tempi di Zahir Shah e se c'è un vuoto, ci riuniamo con i ministri interessati e formuliamo una proposta di legge. La legge dei taleban è finita". Ma essendo il vostro uno stato islamico, la legge fa comunque riferimento alla sharia? "Solo il 20% delle leggi possono basarsi sull'islam, il restante 80% si basa sulla conoscenza, sono leggi che fanno riferimento alla legislazione internazionale in accordo con la conferenza di Bonn. Che prevedono pluralismo e liberalismo, e che rispettano i diritti umani", sostiene il ministro. E per quanto riguarda i taleban catturati come saranno giudicati? "Se hanno commesso crimini internazionali saranno consegnati alla giustizia internazionale, altrimenti saranno portati davanti alla nostra corte". Quindi, se sono sospettati di appartenere ad al Qaeda o accusati di terrorismo continuerete a consegnarli agli Stati uniti per portarli nella base di Guantanamo? "Sì, non abbiamo nessun problema su Guantanamo". Anche se, chiediamo, ci sono numerose proteste perché i detenuti nella base americana non vengono considerati prigionieri di guerra? "Non è un problema per noi, lo è per chi protesta". E per tutti i taleban che non sono accusati di crimini particolari, l'ex presidente Burhannudin Rabbani aveva parlato di amnistia, questa proposta è ancora all'ordine del giorno? "I taleban avevano un esercito di 65.000 uomini, non si possono mettere tutti in carcere, i criminali saranno giudicati, gli altri sono già liberi. Non conosco la proposta di Rabbani, comunque la sua posizione ha già creato abbastanza problemi quindi non è da prendere in considerazione".


Giuliana Sgrena - Inviata a Kabul
il Manifesto 17 marzo 2002